“Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.” Italo Calvino

Lettera aperta di ISDE al Presidente della Regione Emilia-Romagna: il Piano Regionale Rifiuti da occasione mancata a pilastro dell'economia circolare

Lettera aperta al Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e all’Assessore Paola Gazzolo

Oggetto: Piano Regionale Gestione Rifiuti

Caro Presidente, Caro Assessore,
il Piano Regionale Gestione Rifiuti è una grande opportunità per armonizzare lo sviluppo economico, la tutela dell’ambiente e della salute.
A nostro parere il piano approvato il 3 maggio 2016 non raggiunge questi obiettivi e riteniamo quindi opportuno fornire spunti per proposte migliorative, che auspichiamo siano approvate nelle sue prossime revisioni.
Gli inceneritori, anche a causa dell’attuale sovra-capacità di trattamento, sono un ostacolo all’economia circolare, obiettivo primario indicato dalla Comunità Europea, poiché la loro economia di scala richiede una quantità fissa di rifiuti residui da smaltire per i prossimi 20-25 anni. Una rigidità operativa che crea problemi di programmazione ed economici e che rischia di rallentare la raccolta differenziata e le filiere industriali del recupero di materia, allontanandoci dal raggiungimento di obiettivi di sostenibilità e discriminando negativamente queste ultime categorie imprenditoriali.
D’altra parte, l’economia circolare è unanimemente riconosciuta come modello di riferimento per superare le crisi economiche, ambientali e sociali del nostro tempo. 
Le principali direttive europee ed il recente “pacchetto per l’economia circolare” (Dicembre 2015) indicano la necessità di una “drastica limitazione dell’incenerimento con o senza recupero di energia entro il 2020” e persino “incoraggiano gli Stati Membri a introdurre disincentivi economici per lo smaltimento in discarica e per l’incenerimento”.
Gli indirizzi europei privilegiano il recupero e riciclo di materia al recupero energetico, poiché quest’ultimo produce emissioni e scorie tossiche da smaltire in discariche speciali con elevati costi economici e ambientale. trovano razionale, oltre che nella necessità di procedere a recuperare materia invece di trasformarla in emissioni e in scorie tossiche da smaltire in discariche speciali con elevati costi economici e ambientali.
Inoltre, vi sono numerose e crescenti evidenze scientifiche sulla nocività delle emissioni. Oltre alla corposa letteratura internazionale, in continua crescita, abbiamo oggi a disposizione anche autorevoli studi nazionali (per citarne solo alcuni: Moniter, ERAS Lazio, studi ARPA sull’inceneritore di Vercelli e Cosmari nelle Marche, un recentissimo studio sull’inceneritore di San Zeno di Arezzo) che confermano che gli impianti di incenerimento (anche di ultima generazione) producono impatti ambientali e sanitari e di conseguenza sono discriminate le comunità costrette a ospitare questi impianti. I sistemi di abbattimento degli inquinanti, infatti, sono inefficaci contro le polveri ultrafini prodotti dalla combustione; i sistemi di trattamento acque producono reflui contaminati che sovraccaricano gli impianti di depurazione cittadini. 
Secondo la normativa nazionale vigente (D.Lgs. 152/2006), l’obiettivo finale della gestione dei rifiuti deve essere quello di favorire la tutela della salute umana e dell’ambiente. Questo obiettivo può raggiungersi solo mediante una completa esclusione dell’incenerimento, oltre che con un progressivo abbandono dei conferimenti in discarica, compresi quelli delle ceneri tossiche derivanti dalla combustione di rifiuti.
In parallelo, seguendo le indicazioni normative, è necessario orientarsi verso il massimo sviluppo possibile di modelli che prevedono la riduzione della produzione dei rifiuti, il recupero di materia in tutte le forme che gli sviluppi tecnologici delle tecnologie “a freddo” oggi consentono e lo sviluppo dell’economia circolare, anche in considerazione delle rilevanti opportunità occupazionali che questo genererebbe.
Nel rispetto delle indicazioni comunitarie, è dunque necessaria ed ineludibile una rapida e progressiva “exit-strategy” dall’incenerimento dei rifiuti entro il prossimo quinquennio, attraverso un percorso che contempli:
  1. analisi e controlli in continuo dei microinquinanti emessi dagli impianti di trattamento rifiuti (includendo diossine e composti “simil-diossine”), analisi delle matrici animali e vegetali nelle aree circostanti gli impianti e procedure di bio-monitoraggio delle comunità a rischio; nell’attesa della completa dismissione degli impianti.
  2. Una pianificazione impiantistica limitata ai soli rifiuti urbani, superando la promiscuità di rifiuti speciali e urbani.
  3. Lo sviluppo di un piano strategico per l’economia circolare che preveda la disincentivazione dell’imprenditoria dell’incenerimento, il coinvolgimento di tipologie imprenditoriali orientate al recupero di materia e la progressiva e completa dismissione degli impianti di incenerimento attualmente operativi, realizzando così un’adeguata transizione economica e sociale verso uno sviluppo imprenditoriale sostenibile.

Questa strategia può costituire un innovativo percorso alternativo alle previsioni dell’art. 35 dello “Sblocca Italia”, qualora estesa a livello nazionale. Realizzando gli impianti previsti dal decreto attuativo dell’art.35 dello “Sblocca-Italia”, gli inceneritori italiani raggiungerebbero la capacità complessiva di oltre 10.5 milioni di tonnellate (considerando l’aumento di portata degli impianti in esercizio fino al carico termico). L’elevato numero di impianti previsti con l’applicazione dell’articolo 35 dello Sblocca-Italia, inoltre, contribuirebbe in maniera significativa all’incremento di emissioni di gas serra, procedendo in direzione contraria agli impegni assunti con la COP 21 di Parigi.
Viceversa, se si raggiungesse l’obiettivo di non superare i 100 kg per abitante per anno di rifiuti indifferenziati, sarebbe temporaneamente sufficiente una capacità di 6 milioni di tonnellate, un valore destinato a ridursi per effetto delle politiche di eco-design dei prodotti che incentivano l’uso di materiali riciclabili e delle altre pratiche di prevenzione. 
Le Regioni che intendessero orientare il proprio piano di gestione dei rifiuti, modificandolo adeguatamente, verso le indicazioni comunitarie e il rispetto dei principi di sostenibilità e salvaguardia ambientale e sanitaria, potrebbe diventare un efficace ed efficiente strumento di sviluppo nazionale e, contemporaneamente, un valido esempio da seguire.
Cordialmente

Patrizia Gentilini 
Alberto Bellini
Agostino Di Ciaula

ISDE Italia

10 ottobre 2016

Allegato

Dalle Province alla Regione
In Emilia-Romagna, il Piano Regionale Gestione Rifiuti e la Legge Regionale 23/2011 hanno ridisegnato l’organizzazione territoriale del servizio rifiuti. In precedenza, si era sostituito il principio della autosufficienza regionale a quello provinciale. Una scelta che ha portato a ingenti investimenti per rendere ogni Provincia indipendente dal punto di vista impiantistico; investimenti decisamente superiori al resto del Paese, vedere Figura 1.
Le pre-vigenti pianificazioni provinciali rappresentavano un punto di equilibrio, stabilito su base provinciale. Il combinato disposto del Piano Regionale Gestione Rifiuti (n. 67, 3 maggio 2016) e dell’articolo 35 dello Sblocca Italia hanno violato e superato questo equilibrio, prefigurando aumenti di portata degli impianti e la loro estensione a rifiuti speciali e a rifiuti provenienti da territori extra-provinciali.
Queste modifiche non sono accettabili, anche e soprattutto perché i cittadini della Regione pagano ogni anno, attraverso le tariffe rifiuti, oltre 50 milioni di euro per ammortamenti e remunerazione del capitale investito dai gestori. Essi sono i proprietari degli impianti (per la quota finanziata attraverso la tariffa o la contribuzione pubblica) ed è necessario che le loro scelte e opinioni vengano rispettate. 
Il passaggio da un bacino provinciale a un bacino regionale deve essere equo, omogeneo e rispettare la sovranità territoriale, riconoscendo a ogni territorio gli investimenti fatti. 
Aspetti sanitari e ambientali
La Regione ha risposto alle legittime richieste delle mamme (e cittadini) forlivesi, riminesi, modenesi, parmigiani, ferraresi, …, citando i dati della qualità dell’aria e in particolare le misure di particolato di dimensioni inferiori a 10 micron (PM10, che comprendono le particelle grossolane fino a 10 millesimi di millimetro, i.e. micron). Le emissioni di particolato da parte degli inceneritori si vanno ad aggiungere alle altre fonti principali (veicoli e condizionamento ambientale) e ne rappresentano una fonte non trascurabile, anche se i filtri utilizzati negli impianti più recenti ne trattengono una quantità considerevole, data la loro taglia più ampia. Inoltre, dallo studio MONITER è emerso che l’87% del particolato emesso dai moderni inceneritori è costituito da PM2.5 (particelle fini di diametro inferiore a 2,5 micron, che sono le più pericolose per la salute) e che le indagini condotte sulle emissioni dell’inceneritore di Bologna hanno dimostrato la presenza di “picchi emissivi”, che “paiono essere legati all’emissione di particelle di dimensioni, con diametro aerodinamico inferiore a 100 nm” cioè 0,1 micron (PM 0,1). La prevalenza di PM fine nelle emissioni di inceneritori di rifiuti e la loro particolare pericolosità - in quanto veicolo di metalli e sostanze citotossiche - è stata di recente confermata in uno studio condotto a Shanghai[1]. Quindi, se da un lato l’evoluzione dei sistemi di filtraggio è in grado di ridurre la massa del particolato totale presente nelle emissioni degli inceneritori, dall’altro non ne riduce la pericolosità, a causa delle dimensioni molto minori delle particelle emesse. In ogni caso, il trattamento e smaltimento dei rifiuti rappresenta una porzione significativa delle emissioni di gas serra (da 5 a 9%), come conferma lo stesso Piano Regionale Gestione Rifiuti (Rapporto Ambientale, figura 2.22).
Uno studio condotto in Svezia[2] ha stimato che una quota variabile dal 17% al 32% del particolato PM 2.5 provenga dagli inceneritori, e una ricerca del 2007, condotta a Parigi[3], ha evidenziato che gli inceneritori sono una delle maggiori fonti di produzione di PM2.5, unitamente a traffico veicolare e riscaldamento. Più in dettaglio gli studi dichiarano che le PM10 si depositano sulle vie aeree superiori dove sono presenti sistemi di difesa (apparato muco/ciliare) e comportano effetti soprattutto di tipo infiammatorio. Viceversa alle PM2.5 sono correlati i maggiori danni alla salute con incremento di eventi avversi a carico del sistema cardiaco e respiratorio, quali ischemie, infarti, ma anche diabete. Si è calcolato che ogni aumento di 10 µg/m3 di PM2.5 comporta - per esposizione a lungo termine – un incremento del 6% del rischio di morte per ogni causa, del 12% per le malattie cardiovascolari e del 14% cancro del polmone[4] [5]Nell’ottobre del 2013 l’OMS, su indicazione della IARC (Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro, International Agency for Research on Cancer) ha dichiarato il Particolato come agente cancerogeno per l’uomo[6], al pari dell’inquinamento atmosferico complessivo (out air pollution), per cancro al polmone ed alla vescica. Recentemente è stato evidenziato che ogni aumento di 10 µg/m3 di PM2.5 comporta un incremento del 40% nell’incidenza dell’adenocarcinoma polmonare[7]L’attenzione dei ricercatori è tuttavia sempre più rivolta a valutare il rischio rappresentato dal particolato ultrafine, quello cioè con dimensioni inferiori al millesimo di millimetro. Grazie alle loro dimensioni, simili a quelle dei virus, questo tipo di particelle è in grado di superare la parete degli alveoli alveolari, entrare nel circolo sanguigno e quindi, attraverso il sangue, giungere in ogni distretto dell’organismo. Si può stimare che, in un giorno, meno di un alveolo polmonare su mille entrerà in contatto con particelle PM10, mentre un singolo alveolo entrerà in contatto con centinaia e centinaia di particelle ultrafini. I danni che ne conseguono sono rappresentati da stress ossidativi, stato di infiammazione generalizzato, aumentato rischio di allergie e della viscosità del sangue, alterazione delle più delicate funzioni cellulari che giungono a danneggiare direttamente lo stesso genoma[8]. Si stanno inoltre accumulando evidenze che particelle di queste dimensioni possano arrivare direttamente, attraverso il nervo olfattivo, ai lobi frontali e che patologie neurodegenerative in drammatico aumento, quali Parkinson ed Alzheimer, siano causate da questo processo. Ancor più inquietanti sono le evidenze che emergono dalla letteratura scientifica circa l’azione neurotossica esercitata dall’inquinamento dell’aria sul cervello in via di sviluppo con incremento del rischio anche per i disturbi dello spettro autistico, patologie in crescente aumento anche nel nostro paese[9]. Da un recentissimo studio caso-controllo condotto sulla grande coorte delle infermiere americane (116.430 soggetti) è emersa una associazione statisticamente significativa del 42%  fra esposizione ai più elevati livelli di PM2,5 nel terzo trimestre di gravidanza ed autismo[10]. Se pensiamo che la nostra regione è sita nella Pianura Padana, una delle aree più inquinate del Pianeta e che l’ultimo report sulla qualità dell’aria in Europa[11] pone il nostro paese al 1°posto in Europa per morti evitabili (84.400!) per gli elevati livelli PM10, PM2,5 NO2, O3, i motivi di preoccupazione dei cittadini emiliano-romagnoli ci appaiono più che fondati.
Inoltre, negli inceneritori durante la combustione dei rifiuti, hanno luogo reazioni casuali in cui si producono migliaia di nuovi composti chimici chiamati PIC (Prodotti di Combustione Incompleta). Solo un centinaio di questi composti sono stati individuati. Le altre migliaia di sostanze sono sconosciute, e in gran parte sconosciute sono i loro possibili effetti sulla salute. Fra i principali inquinanti emessi, oltre al particolato fine e ultrafine, ricordiamo: anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, acido cloridrico, acido fluoridrico, anidride solforosa, metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio), diossine, furani, idrocarburi policiclici, benzene. Si tratta di sostanze tossiche, irritanti, ma anche mutagene e cancerogene che causano patologie neoplastiche e non neoplastiche a carico di numerosi organi. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto – di cui purtroppo nella nostra regione si registra una presenza fra le più elevate al mondo come le immagini da satellite hanno ampiamente documentato - si fa presente che gli ossidi di azoto non sono solo correlati a conseguenze irritativo-flogistiche su occhi e apparato respiratorio, ma anche a insorgenza di cancro al polmone, alla mammella ed anche a prostata, vescica, ovaio[12] [13]. Molte di queste sostanze (in particolare diossine, furani, PCB, metalli pesanti), sono persistenti e bioaccumulabili, hanno una bassissima solubilità in acqua e una scarsissima degradabilità chimica e biologica; in virtù di queste caratteristiche entrano quindi nella catena alimentare, accumulandosi soprattutto nel tessuto adiposo degli organismi viventi; sono in grado inoltre di superare la barriera placentare e vengono veicolati anche attraverso il latte materno. Essi inoltre agiscono come “interferenti endocrini” ovvero sono in grado di interferire con le più delicate funzioni ormonali quali quelle che regolano le funzioni metaboliche, riproduttive, immunitarie e cognitive. A questo proposito va ricordata l’indagine per la ricerca di diossine e PCB dl su una sessantina di matrici alimentari condotta nel Comune di Forlì in allevamenti localizzati fra gli inceneritori e l’aeroporto: essa ha mostrato un’ampia e preoccupante diffusione di questi contaminanti con circa solo un terzo dei campioni che rientravano nei limiti di legge[14]. Oltre alle responsabilità dei singoli allevatori, è emerso che la contaminazione prevalente era costituita dai PCBdl (PCB diossine like), agenti che per le loro caratteristiche peculiari provengono con elevata probabilità dagli inceneritori posti nel territorio urbano. L’aumento di rischio di tumori maligni e di patologie non neoplastiche per le popolazioni esposte agli inceneritori è documentato in modo ampio nella letteratura scientifica: linfomi Non-Hodgkin, sarcomi, tumori polmonari, neoplasie in età pediatrica, ma anche di tumori maligni dello stomaco, colon, fegato e mammella nel sesso femminile[15], patologie cardiache, respiratorie e malformazioni[16] [17]. Anche un recentissimo studio effettuato sull’inceneritore di Vercelli che tratta rifiuti urbani e speciali ospedalieri[18] ha documentato incrementi di rischio per la mortalità totale, escluse le cause accidentali, nella popolazione esposta (+20%); anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (+80%), l'ipertensione (+190%), le malattie ischemiche del cuore (+90%) e le bronco pneumopatie cronico-ostruttive negli uomini (+ 50%). Ricordiamo inoltre che lo studio Moniter, realizzato dalla Regione Emilia-Romagna, ha mostrato un aumento significativo di nati pre-termine nelle aree più vicine agli inceneritori della Regione, nonché un incremento della abortività spontanea del 44% nelle donne più esposte e senza precedenti aborti[19]. Lo stesso studio mostra che a Forlì i nati esposti all’inceneritore (nelle 2 fasce più vicine) sono il numero maggiore in assoluto: 671 su un totale regionale di 2108[20]. A Ravenna, invece, i nati esposti all’inceneritore nelle 2 fasce più vicine sono pari a zero e in totale uno solo. Evidentemente gli impianti di Forlì, Modena e Rimini – a differenza di quello di Ravenna -  sono ubicati in aree densamente popolate in cui sono fra l’altro presenti scuole materne, asili nido, scuole primarie e medie, oratorio. Ci chiediamo perché non sia stato considerato come criterio per la scelta della dismissione degli impianti di incenerimento quello della maggiore o minore presenza di popolazione a rischio nell’area di localizzazione dell’impianto stesso. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il fatto che si preveda la dismissione dell’inceneritore di Ravenna ed il conferimento dei rifiuti da Ravenna a Forlì ci appare quindi totalmente privo di senso. 
Uno studio realizzato a Forlì[21], e pubblicato su Environmental Health nel 2011, ha mostrato eccessi statisticamente significativi di mortalità per tutti i tumori nelle donne (in particolare cancro allo stomaco), e di incidenza nel cancro del colon retto in maschi e femmine, per l’esposizione ai metalli pesanti emessi dai due inceneritori in un raggio di 3,5 km. Ricordiamo che la precedente analisi della medesima coorte aveva evidenziato che: “Nel complesso si stima che nella popolazione femminile entro 3,5 Km dagli inceneritori di Forlì dal 1990 al 2003 si siano osservati 116 decessi oltre l’atteso di cui 70 per cancro” e che, proprio in virtù di questi inquietanti risultati, la Regione decise di avviare lo studio Moniter. 
Chiediamo a Voi un preciso quadro e analisi di questi aspetti, ignorati completamente nelle risposte e nella discussione pubblica, anche attraverso i sistemi elencati di seguito.
Controlli ambientali
In questo quadro, la verifica e analisi in continuo dei principali componenti tossici diventa un aspetto rilevante dal punto di vista sociale e sanitario.
Comune di Forlì, ARPA, AUSL e Ordine dei Medici, al termine dei lavori del sopra citato tavolo interistituzionale per le diossine, avevano fissato e condiviso alcuni punti per realizzare un adeguato controllo degli impianti di incenerimento. In particolare, si chiede l’attivazione di sistemi di campionamento in continuo delle diossine emesse dagli impianti. Ricordiamo che era stato attivato sperimentalmente un impianto con fiale AMESA presso l’inceneritore di rifiuti urbani di Forlì. Si chiede che un tale sistema, oggi ufficialmente regolamentato dalla normativa UNI, venga utilizzato per tutti gli inceneritori, compresi quelli che trattano rifiuti speciali. Attualmente, i rilievi di diossine avvengono attraverso pochi campioni all’anno, viceversa, questo strumento di controllo può verificare puntualmente situazioni critiche per i residenti, come è avvenuto nell’inceneritore di Montale (PT), dove si sono verificati superamenti dei limiti stabiliti dalla legge per le diossine. 
Chiediamo, infine, che vengano realizzate sistematicamente le analisi delle matrici vegetali e animali nelle aree territoriali adiacenti agli impianti di incenerimento. Ricordiamo che le analisi condotte nel 2011 a Forlì hanno evidenziato diverse criticità, poiché solo un terzo dei campioni rispettava i limiti di legge, e addirittura su 12 galline allevate a terra solo una rientrava nei limiti normativi per le diossine. Un’analisi a livello regionale e con campionamenti almeno annuali, consentirà di verificare la situazione e identificare con maggiore rigore le cause.
Transizione verso l’Economia circolare
Uno Studio di settore della Cassa Depositi e Prestiti sui Rifiuti del 2014 (figura 1) mostra che la quota di investimenti pro-capite in Emilia-Romagna è pari ad almeno il doppio di quella degli altri cittadini italiani



Investimenti che si riflettono sulle tariffe, poiché gli investimenti per il settore rifiuti urbani sono integralmente a carico dei cittadini attraverso le tariffe del servizio rifiuti. Tali ingenti investimenti hanno ridotto la quota di rifiuti smaltiti in discarica dal 50% al 20% (tra il 2003 e oggi). Tuttavia, se non viene cambiato indirizzo strategico, la nostra Regione è destinata a diventare la pattumiera di rifiuti urbani e speciali prodotti dalle altre Regioni, in molte delle quali la disponibilità di impianti è decisamente inferiore alle necessità. Un indirizzo strategico, che rappresenta una precisa scelta occupazionale ed economica. Una scelta errata, poiché il modello “sviluppista” è obsoleto e superato dai fatti. I margini di profitto ottenuti dallo sfruttamento del territorio, in questo caso attraverso discariche e inceneritori, sono inferiori ai costi derivanti dagli impatti ambientali e sanitari, secondo i principali Istituti finanziari internazionali. Un modello circolare avrebbe impatti positivi, anche dal punto di vista economico. “Il settore industriale ha già ravvisato le grandi opportunità legate all’aumento della produttività delle risorse. Si stima che un uso più efficiente delle risorse lungo l’intera catena di valore potrebbe ridurre il fabbisogno di fattori produttivi materiali del 17%-24% entro il 2030, con risparmi per l’industria europea dell’ordine di 630 miliardi di euro l’anno[22].
Gli inceneritori, e l’attuale sovra capacità impiantistica, sono un ostacolo all’economia circolare, poiché richiedono una quantità fissa di rifiuti residui da smaltire per i prossimi 20-25 anni. Una rigidità operativa che crea problemi di programmazione ed economici, e che diventa un grande ostacolo alla realizzazione di una filiera di recupero dei rifiuti.
La transizione verso l’economia circolare si può realizzare fissando obiettivi molto ambiziosi a medio termine, i.e. rifiuti zero nel 2030, e definendo strumenti fiscali per realizzarli. Tra gli obiettivi si deve porre una riduzione degli impianti di smaltimento (discariche e inceneritori), fino al loro annullamento e la riduzione dei materiali non riciclabili immessi a consumo. Tra gli strumenti fiscali, appaiono efficaci: la attivazione di un modello duale di responsabilità estesa al produttore, ovvero lasciare ai produttori l’onere di raccogliere gli imballaggi, un contributo ambientale per gli imballaggi e i materiali di produzione fortemente selettivo e penalizzante per i produttori di materiali non riciclabili. Tali strumenti fiscali dovrebbero essere estesi ai rifiuti speciali, attivando meccanismi simili a quelli adottati dalla LR 16/2015 per i rifiuti urbani, per incentivare attraverso la leva economica, la riorganizzazione dei sistemi di produzione e raccolta scarti delle attività produttive e commerciali. Emblematico è il confronto con i paesi del Nord Europa. In Austria e Germania, il modello duale di raccolta degli imballaggi garantisce percentuali di intercettazione e recupero degli imballaggi molto alti (superiori al 90%), mentre in Italia la quota di imballaggi recuperati è pari al 75%[23]. In Danimarca, dove oltre il 50% dei rifiuti viene avviato a incenerimento, la quota di rifiuti prodotti dalle attività produttive e industriali e commerciali e trattate con incenerimento è residuale, attraverso politiche dedicate, come la simbiosi industriale, che consente di riutilizzare gli scarti di una azienda come materie prime seconde per le altre a essa adiacenti dal punto di vista territoriale. In particolare, su oltre 2.6 milioni di tonnellate avviate a incenerimento ogni anno, solo 165.009 e 380.000 circa sono prodotte dalle attività industriali e commerciali, rispettivamente. Raggiungere questi risultati, oltre a chiari vantaggi ambientali, porterebbe a ridurre i costi di approvvigionamento di materie prime. 
Inoltre, ridurre i rifiuti avviati a smaltimento produce vantaggi in termini energetici, ovvero economici. Infatti, l’energia risparmiata attraverso il riciclo è da due a sei volte superiore di quella recuperate con incenerimento [24]. Il confronto è basato su un’analisi di ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment) dell’energia utilizzata per immettere a consumo un dato prodotto. L’analisi di ciclo di vita considera i combustibili e l’energia elettrica necessarie per la produzione, il trasporto e la distribuzione; e considera la quantità di energia contenuta nel prodotto stesso. Per alcuni materiali il bilancio energetico dell’incenerimento è negativo: per essi l’energia recuperata è minore di zero, poiché non raggiungono le condizioni di auto-combustione e serve energia per ottenerle. 

[1] Ling ling CaoJianrong ZengKe LiuLiangman Bao, and Yan Li, “Characterization and Cytotoxicity of PM<0.2, PM0.2–2.5 and PM2.5–10 around MSWI in Shanghai, China”, Int J Environ Res Public Health. 2015 May; 12(5): 5076–5089.

[2] Kwame_Aboh Aboh, Dag Henriksson, ”K EDXRF characterisation of elemental contenents in PM 2.5 in a medium-sized Swedish city dominated by a modern waste incineration plant”, X-Ray Spectrometry, 2007 36(2) 104-110 https://www.researchgate.net/researcher/83739515.

[3] Widory D., “Nitrogen isotopes: tracers of origin and processing affecting PM10 in the atmosphere of Paris”, Atmosferic Environment (2007) 42 (11) 2382-2390.

[4] Pope AC, “Lung cancer, cardiopulmonary mortality, and long term exposure to fine air pollution”, Journal of American Medical Association, (2002) 287:1132-1141.

[5] Pope AC, “Cardiovascular mortality and long term exposure to particulate matter air pollution”, Circulation 2004; 109: 71-77.

[6] D. Loomis, Y. Grosse, B. Lauby-Sectretan, F. El Ghinassassi, V. Bouvard, L. Benbrahim-Tallaa, N. Guha, R. Baan, H. Mattock, K. Straif,“The carcinogenicity of outdoor air pollution”,The Lancet oncology, vol. 14, n. 13, pp. 1262-1263, december 2013, Published Online: 24 October 2013.

[7] Hamra GB, Guha N, Cohen A, Laden F, “Outdoor Particulate Matter Exposure and Lung Cancer: A Systematic Review and Meta-Analysis”, Environ Health Perspect. 2014 Sep; 122(9): 906–911.

[8] Li N, Georas S, Alexis N, Fritz P, Xia T, Williams MA, Horner E, Nel A, “A work group report on ultrafine particles (American Academy of Allergy, Asthma & Immunology): Why ambient ultrafine and engineered nanoparticles should receive special attention for possible adverse health outcomes in human subjects”, J Allergy Clin Immunol. 2016 Apr 6. -6749(16)30011-2.

[9] Lucio G. Costa, Toby B. Cole, Jack Coburnet et al “Neurotoxicants are in the air: convergence of human, animal, and in vivo studies on the effects of air pollution on the brain”, BioMed Research International Vol 2014 art. ID 736385.

[10] Raanan Raz, Andrea L. Roberts et al, “Autism Spectrum Disorder and Particulate Matter Air Pollution and after pregnancy: a nested case control Analysis within the nurses’ health study II cohort”, Environ Health Perspect. 2015 Mar; 123(3): 264–270.

[11] European Environment Agency, “Air quality in Europe - 2015 Report”, november 2015.
http://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2015

[12] Hamra GB, Laden F, “Lung Cancer and Exposure to Nitrogen Dioxide and Traffic: A Systematic Review and Meta-Analysis”,Environ Health Perspect. 2015 Apr 14.

[13] Al-Ahmadi K, Al-Zahrani, “NO(2) and cancer incidence in Saudi Arabia”, Int J Environ Res Public Health. 2013 Nov 4;10(11):5844-62.

[14] Comune di Forlì, “Relazione finale sui lavori del tavolo interistituzionale in tema di diossine/furani e PCB nelle matrici ambientali ed alimentari del territorio forlivese”,
http://www.comune.forli.fc.it/upload/forli/gestionedocumentale/Relazione%20finale%20tavolo_784_27809.pdf

[15] Gentilini P and Gennaro V, “Inceneritori”, In: AIOM, editor. Ambiente e Tumori. Milano, 2011, pp. 150-159.

[16] Miyake Y, Yura A, Misaki H, Ikeda Y, Usui T, Iki M et al, “Relationship between distance of schools from the nearest municipal waste incineration plant and child health in Japan”, Eur.J.Epidemiol. 2005, 20, pp. 1023-9.

[17] Cordier S, Lehebel A, Amar E, Anzivino-Viricel L, Hours M, Monfort C et al, “Maternal residence near municipal waste incinerators and the risk of urinary tract birth defects”, Occup.Environ.Med. 2010, 67, pp. 493-9.

[18] Salerno C, Marciani P, Barasolo E, Fossale PG, Panella M and Palin LA, “Exploration study on mortality trends in the territory surrounding an incineration plant of urban solid waste in the municipality of Vercelli (Piedmont, Italy)”, 1988-2009. Annali di igiene: medicina preventiva e di comunità, 2015, 27, pp. 633-45.

[19] Candela S, Bonvicini L, Ranzi A, Baldacchini F, Broccoli S, Cordioli M et al, “Exposure to emissions from municipal solid waste incinerators and miscarriages: a multisite study of the MONITER Project”, Environment international 2015;78:51-60.

[20] Quaderni di Moniter, “Gli effetti degli inceneritori sulla salute. Studi epidemiologici sulla popolazione in Emilia-Romagna”, 2012.

[21] Ranzi A, Fano V, Erspamer L, Lauriola P, Perucci CA and Forastiere F, “Mortality and morbidity among people living close to incinerators: a cohort study based on dispersion modeling for exposure assessment”, Environ.Health 2011, 10, pp. 22.

[22] Commissione delle Comunità Europea, “Verso un'economia circolare: programma per un'Europa a zero rifiuti”, 2 luglio 2014, COM(2014)398
http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2014/IT/1-2014-398-IT-F1-1.Pdf

[23] European Commission – DG Environment 2014, “Development of Guidance on Extended Producer Responsibility (EPR)”.
http://ec.europa.eu/environment/waste/pdf/target_review/Guidance%20on%20EPR%20-%20Final%20Report.pdf

[24] U.S. Environmental Protection Agency Office of Resource Conservation and Recovery, “Documentation for Greenhouse Gas Emission and Energy Factors Used in the Waste Reduction Model (WARM)”, March 2015 https://www3.epa.gov/warm/pdfs/WARM_Documentation.pdf






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