“Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.” Italo Calvino

PROPOSTA IN MATERIA DI AFFIDO , ASSISTENZA VETERINARIA , CURE E GESTIONE DEI CANI E GATTI ,NEI COMUNI DELL’UNIONE TERRE DI CASTELLI , ADERENTI AL PROGETTO DI TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE.

 

                        

 

Appurata  la gestione estremamente onerosa che l'intera Unione Terre di Castelli , 7 Comuni , escluso Spilamberto e Castelnuovo Rangone , ha contratto con la cooperativa sociale Caleidos .( Castelnuovo con la stessa cooperativa aderisce ad un accordo con altri 6 Comuni spendendo 1/3 dell'importo corrisposto in Unione al pari degli abitanti, (11000 euro Castelnuovo , 38000 euro Castelvetro  )

Constatato che la presenza attuale di 77 cani dichiarati da Caleidos , con movimentazione da 39 a 77 cani da Gennaio a Settembre 2015 , e in  particolare ,che  le presenze e le movimentazioni coincidono  a settembre 2015  con  77 cani PRESENTI (?) ,  ripartiti come da tabella per i singoli Comuni , e la cifra impegnata ,porta inevitabilmente ad avere una cifra media di 3450 euro/cane/anno , per il solo mantenimento, ma che se andiamo a ripartire la cifra sui singoli Comuni in base alla presenza /die /cane si superano anche i 6000 euro  .

 

TABELLA FORNITA DA CALEIDOS 

Appurato che ad es il comune di Vignola con un presenza media di 10 cani impegna una cifra considerevole ,visti i tempi  , di 85000 euro  (vedi tabella )

Visto che la Provincia di Modena ha deliberato un compenso per  il recupero gatti incidentati di euro 21000 ,quota parte del contratto con Caleidos ,  per tutti i Comuni della Provincia, a cui l'Unione ha deliberato di intervenire con circa 3000 euro . ( allego )

Appurato che la presidente di Caleidos  afferma di avere per contratto anche l'obbligo di effettuare le sterilizzazioni a proprie spese , ma che invece dalla Delibera dell'Unione  e dal contratto firmato tra Unione e Caleidos non appare , ( Allego )mentre appare nel contratto firmato con i Comuni collegati a Modena come contratto a parte ,con i professionisti elencati con protocollo, e con scadenza del contratto difforme da quello per il recupero e la custodia ,e riferito esclusivamente  ad un contratto tra il Comune di Modena e la Caleidos:

Visto che le norme di riferimento indicano nelle ASL le strutture competenti ,con registrazioni in ARAA, per quanto riguarda le sterilizzazioni ,e quindi mantenendo tali interventi di limitazione alla procreazione degli animali, nell'ambito del servizio sanitario veterinario.

 

Modena e coll

Art. 1 Oggetto e finalità

 

La presente intesa regola i rapporti tra Comune di Modena e i Comuni di Bastiglia, Bomporto, Campogalliano, Castelfranco Emilia, Castelnuovo Rangone, Nonantola, Soliera, al fine di assicurare la gestione della struttura adibita a Canile Intercomunale di proprietà del Comune di Modena, ubicata in Modena Via Nonantolana, 1219, nonché il servizio di accalappiamento dei cani randagi ed il servizio di attività veterinarie;

 

…….Al Comune di Modena viene affidato il compito di rinnovare il servizio relativo ad attività veterinarie non istituzionali da svolgere presso il Canile intercomunale allo scadere dell'attuale affidamento il 01/03/2016 secondo le vigenti norme in materia con conseguente successiva sostituzione dell'incarico in allegato al presente atto.

                                                  -----------------------------------------------------------------------------

Unione

COMUNE DI SAVIGNANO SUL PANARO

BANDO DI GARA

APPALTO DEL SERVIZIO DI ACCALAPPIAMENTO, RICOVERO, CURA E SMALTIMENTO DEI CANI RANDAGI DEL COMUNE DI SAVIGNANO SUL PANARO E COMUNI CONVENZIONATI.

Servizi di cui all'allegato IIB ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs. 163/2006 e ss.mm.ii.

CODICE CIG 5243143A78

Pertanto, si informa che con determinazione n. 138 del 11 Giugno 2015 ad oggetto "Affidamento del servizio di accalappiamento, ricovero, cura e smaltimento dei cani randagi del Comune di Savignano

sul Panaro e comuni convenzionati" è stata disposta la suddetta proroga di due anni (dunque dal

14/06/2015 al 14/06/2017), assumendo il relativo impegno di spesa.

Il corrispettivo dovuto alla Ditta Caleidos per il suddetto servizio, ricalcolato in base all'offerta

economica avanzata in sede di gara, è di €. 412,848 (IVA al 22% inclusa), per l'intero periodo di proroga (2

anni), così suddiviso:

- € 111.813,00 dal 14/06/2015 al 31/12/2015

- € 206.424,00 dal 01/01/2016 al 31/12/2016

- € 94.611,00 dal 01/01/2017 al 14/06/2017

                                             -------------------------------------------------------------------------------------------

Appurato che alla nostra richiesta di avere i dati delle sterilizzazioni effettuate , richiesta effettuata da un Consigliere dell'Unione Terre di Castelli , non ci è stato riferito un dato in merito  dall'Unione e di conseguenza neppure dalla Caleidos .

Udito il Sindaco di Savignano affermare  che il contratto stabilito con Caleidos non cita volutamente il numero dei cani presenti  in quanto avrebbe potuto ingenerare nel gestore il desiderio di non eseguire il riaffido rapido ( maggiori cani / maggiori compensi ),come la legge impone , ma al fine di non  stimolare malsani pensieri ,si è preferito non citare nessun numero di animali  nel contratto di stipula, ( sono passati da 217 a 77 attuali ) ,affermando, intrinsecamente, che non esiste nessun progetto  e capacità di controllo dell'Amministrazione Comunale, dell'Unione e delle ASL sull'operato della cooperativa in questo caso  , ma una delega semplice al gestore, in questo caso la cooperativa Caleidos .

Per paradosso la presenza di un solo  cane obbligherebbe l'Unione a corrispondere quanto pattuito (260000 euro/anno  )  per altri due anni , e a ringraziarla per il riaffido totale.

Constatato che l'Unico Comune che ha fatto lo sforzo di rispondere alle nostre domande è Spilamberto , Comune che ha un proprio canile gestito da ENPA, e che ha fornito i dati delle sterilizzazioni , dei costi , delle spese extra contratto, e tutte le possibili voci di spesa in materia sia di carattere veterinario che ti tipo gestionale , dalle viti alle lampadine e a tutto quello che necessita( allego ) .

OGGETTO: dati canile Spilamberto - Rif. richiesta accesso atti n. 40 del 03/12/2015 del Consigliere Gianaroli (prot. Unione n. 40389/2015 del 03/12/2015)

domande poste dal Consigliere dell'Unione Risposte canile Spilamberto

a) Sterilizzazione femmine presso Asl Anno 2013 = 15; anno 2014 = 4; anno 2015 = 3

b) numero preciso gatte sterilizzate presso ASL La sterilizzazione delle gatte viene effettuata

direttamente da ENPA al di fuori della convenzione per la gestione del canile comunale

d) numero preciso sterilizzazioni presso canili cani femmina : nel canile comunale non si effettuano sterilizzazioni di femmine……

 

Visto che le normative 27/2000 e il reg. 3/2013 affermano chiaramente che devono essere usate specifiche norme per il riaffido rapido e veloce , le sterilizzazioni , le collaborazioni con le ASL ,le convenzioni , le elargizioni  non danarose ma in alimenti , cure veterinarie etc , e non essendo emerso che tali normative siano applicate rendendo il canile una struttura fine a se stessa che non deve essere superatae delegata completamente ad una cooperativa , rinunciando l'amministrazione dei 7 Comuni ,di fatto , allo svolgere invece quel supporto di stimolo e controllo ,  fondamentale  ed educativo in materia.

Da Legambiente report 2014

Cani vaganti - Ma ogni qual volta viene preso un cane vagante quale risultato raggiungono le città italiane tra restituzioni ai proprietari e adozioni? Ossia quanti ne rimangono a carico della collettività nei canili rifugio? In media, nei Comuni capoluogo, ogni 4 cani catturati solo uno trova felice soluzione tra restituiti ai proprietari e dati in adozione, numero che si conferma, quale valore medio, nelle grandi città, ancor meno nelle medie città con solo uno ogni 5,6 cani, meglio invece nelle piccole città con uno ogni 2 cani presi. Anche in questo caso i dati di dettaglio mostrano situazioni molto diverse passando, risultati del 2012, nelle grandi città, da Trieste dove hanno saputo restituire e dare in adozione il doppio dei cani catturati mentre a Napoli sono riusciti soltanto con uno ogni 30,7 cani catturati, nelle medie città, da Bolzano con un po' meno del doppio (0,7) dei cani tra restituiti e dati in adozione rispetto a Catanzaro dove un solo cane ogni 154 catturati trova felice soluzione o, nelle piccole città, dalla capacità di Gorizia e Lodi di trovare soluzioni (tra restituzioni e adozioni) per cinque volte (0,2) i cani catturati, a Nuoro con un solo cane restituito/adottato ogni 8 catturati.

Il presente lavoro dimostra la possibilità di utilizzare le leve della normativa al fine di rendere possibile il superamento del canile come lo intendiamo ora ( Trieste , Gorizia , Lodi ) e avvallerebbe senza ombra di dubbio ,la nostra proposta in merito.

Constatato che il comune di S Cesario spende una cifra di 2,80euro/die /cane ,il Comune di Spilamberto di 3,20 , l'Unione impegna invece una cifra cane /die di euro 7,37 , ( 256000/15 mesi , 17000 euro/mese , 568 euro /giorno , 7,37 euro/cane /die), fuori da qualsiasi valore tabellario , la stima fornita da Modena a Legambiente per il 2014 era di 2,2 euro/cane /die

Visto che i sette comuni che hanno stipulato il contratto con Caleidos insieme a Castelnuovo Rangone, Bastiglia , etcc  al pari di numero abitanti , corrispondono una cifra in linea con le cifre impegnate da  Spilamberto e S Cesario.( allego )

In seguito al Comunicato che la stessa Unione fece nel 2012  ( allego )per la creazione di un canile intercomunale  del costo di 1,5 milioni di euro per 250 posti cani, dimostrava  chiaramente la incapacità di avere il polso della situazione ,il  non applicare la legge in vigore ( 27/2000) , se non per la voce di realizzare un canile , il  programmare una inesistente affluenza di cani , sovraccaricando di oneri i cittadini per una necessità immaginata o suggerita in palese violazione delle norme di legge (27/2000) volte al prevenire il sovraffollamento dei canili  .

Appurato che il rapporto cani presenti in strutture di ricovero / N° abitanti  nel caso ad esempio della Provincia di  Rovigo è di 1 cane /2218 abitanti mentre nel caso della Provincia di Modena è probabilmente  di 1 cane / 700 abitanti ( ma questa cifra è probabilmente inferiore ) , rendendo ancora maggiormente inspiegabile la scelta del 2012 di edificare un canile per 60000 abitanti (escluso Spilamberto e Castelnuovo) per 250 cani , 1 cane / 240 abitanti , dieci volte maggiore di Rovigo, e 330% superiore ai dati della stessa Provincia di Modena ,  e fuori da ogni logica di benessere animale e programmazione ,nella lotta al randagismo .

Appurato che il numero cani presenti mediamente negli 11 canili si aggira sui 1000 cani/die, dati forniti con approssimazione dalla Provincia in data 9 /02/2016

                                                           Dati canili nella Provincia

Canile intercomunale di Modena

Canile Comprensoriale della comunità del Frignano

Canile intercomunale di via Viazza di Sotto  Colombaro di Formigine

Canile intercomunale di Mirandola

Canile di Finale

Canile di Spilamberto

Canile di Savignano

Canile di Carpi

Canile di Fanano

Canile privato di via Nonantolana

Canile  privato di San Prospero

Appurato inoltre che dal report di Legambiente 2014 la cifra massima di spesa CANE/N. ABITANTI si attesta a 2,87 euro ,mentre nel nostro caso siamo a  4,81 euro , ma con voci di spesa a parte in altri capitolati,  Modena dal report di Legambiente  2014 si attesta a 2,2 euro /abitante,  appare quindi un costo dell'Unione , non in linea con i servizi offerti e la stessa media di Modena , e andava ancora peggio precedentemente al 2014 nel canile di Savignano con un numero maggiore di animali in condizioni pessime e con varie intimazioni dell'ASL per la chiusura, e una cifra ancora superiore  per la gestione.

In seguito alle dichiarazioni del Sindaco di Savignano  e del dirigente ASL dott Zecchini , che il nostro territorio è invaso da cani di provenienza extra regionale , soprattutto Campania e Puglia  ,e che tali arrivi sovraccaricano il lavoro delle strutture temporanee  e permanenti del nostro territorio , facendo presagire organizzazioni malavitose con interessi in questo traffico ,ma non avendo chiarito se sono state formulate denunce agli organi competenti .

Ritenuto il canile una soluzione temporanea a tutti gli effetti , come la legge 27/2000 afferma , dividendo la struttura in temporanea e permanente , lasciando la tempistica di 2 mesi come tempistica massima per permettere al cane di essere riaffidato e solo in estrema ratio ,la struttura diventerebbe luogo permanente.

Visto il canile come solo luogo di passaggio ,struttura leggera di transito veloce, nel quale trovare amorevoli cure prima dell'accasamento, siamo a chiedere la stipula da parte dell'Unione di :

 

un progetto di intenti che vada al superamento della concezione attuale di canile :

a)      Abolizione immediata del progetto intercomunale di canile da realizzare in uno dei 7 Comuni aderenti all'Unione escluso Spilamberto e Castelnuovo .

b)      Abolizione del concetto di imprenditoria cooperativa sul randagismo per finalizzarla invece alla tutela del benessere animale usando lo strumento associazionistico.

c)       L'Unione si fa artefice della felicità degli animali superando il concetto del canile e promuovendo il concetto dell'affido immediato  in collaborazione stretta con il mondo associazionistico.

d)      L'Unione vede nel CANILE solo una soluzione temporanea

e)     L'Unione accetta il canile come  struttura  PERMANENTE , solo per quegli animali sfortunati che per patologie gravi croniche, demenziali , aggressive , non possono essere collocati in strutture famigliari, ne cambia il nome in :"Struttura  adibita alle cure per  gatti e cani anziani o pericolosi   "Pet-Hospice".

f)       L'Unione nomina  un referente unico tecnico , e politico , Assessore al benessere animale,  per l'Unione,   al quale fare riferimento e che abbia la conoscenza del settore e possa seguire lo svolgimento della programmazione, diventando il centro di raccordo delle varie istituzioni interessate , Polizia Municipale , Sanità, Servizi Veterinari , Associazioni .

g)      Approvazione da parte dell'Unione del PET- HOSPICE  come struttura  alla quale fare sempre riferimento  .

h)      Approvazione del concetto di benessere animale ,sia psichico che fisiologico al di fuori del canile , relegando il canile a luogo di sofferenza.

i)        Applicazione rigida ed estensiva delle norme 27/2000 e reg 3/2013  al fine di svuotare la parte di canili che sono diventati luogo PERMANENTE e non TEMPORANEO

j)        L'Unione si fa artefice di promuovere in  tutti i comuni aderenti all'Unione  di  un documento di intento in materia

k)      Applicare ove possibile la collaborazione stretta e continua tra le ASL del territorio e le Associazioni per permettere che la totalità delle sterilizzazioni siano eseguite dalle ASL , come accade in altre Provincie nelle quali la legge 27/2000 e il reg 3/2013 sono  applicati con il massimo rispetto  .

l)        Realizzazione di un   sistema di accalappiamento con accordo tra la Polizia Municipale e l'Unione , dotando i vigili di un lettore da Microchip , collegato al sito regionale anagrafe canina risalendo immediatamente al proprietario qualora il chip sia presente e restituendo il cane con i mezzi del soccorso rapido delle associazioni  convenzionate.

m)    L'Unione  promuove l'obiettivo di realizzare nell'arco temporale di tre anni ,la riduzione quasi completa dei degenti presso i canili  convenzionati dell'Unione

n)      L'Unione si fa carico di redigere sul sito della stessa ,  la mappa dei canili della Provincia di Modena, con in tempo reale i posti vuoti e posti pieni al fine di collocare lo smarrito in strutture già presenti .

o)      L'Unione si fa promotrice di stimolare  i Comuni dell'Unione alla informazione capillare a mezzo giornalini comunali , siti web , o altro al fine di ricollocare gli animali smarriti .

p)       L'Unione con il risparmio di spesa riducendo il numero degli animali in soluzione permanente stimola l'affido con le leve che la legge 27 cita ,ad es mangime gratis per un certo numero di anni , spese veterinarie gratuite , assicurazione per infortuni , malattie , interventi  etcc , al fine di sensibilizzare le future generazioni con messaggi volti al rispetto degli animali, gestito in primis dai Comuni .

q)      L'Unione promuove nelle scuole elementari  la diffusione di una cultura di rispetto degli animali da affezione e da carne , chiarendo la differenza che a priori l'uomo stabilisce ma che non esiste nei fatti .

r)        L'Unione si propone di dirottare le spese in materia di canili  in  educazione comportamentale dei proprietari di cani  che acquisiscono un cane non di giovane età direttamente dal canile, in mangime , in assicurazioni veterinarie , in spese veterinarie, in istruzione scolastica finalizzata al rispetto  degli animali .

 

Link alla cartella che contiene i file:

1)      LR 27/2000

2)      LR 3 /2013

3)      LR  5/2005

4)      Convenzione Modena e Comuni collegati

5)      Delibera di Giunta Spilamberto 115

6)      Convenzione Spilamberto/S Cesario

7)      Delibera canili Regione ER

8)      Accordo ENPA- Spilamberto

9)      Contratto Caleidos 2448

10)   Contratto Caleidos 2459

11)   Risposta dati canile Spilamberto

12)   Proroga contratto canile

13)   Accesso atti canile

14)   Area tecnica

15)   Monitoraggio 2013

16)   Monitoraggio 2014

17)   Monitoraggio 2015

18)   Risposta assessore Savignano

19)   Cartella censimento cani Caleidos

20)    Accordo Savignano

21)   Canile bando di gara

22)   Albo 409

23)   Elementi sito unione

24)   Report di Legambiente 2014

 

Ecco perché ci sono stati più morti nel 2015

FONTE: http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/cinzia-tromba/ecco-perche-ci-sono-stati-piu-morti-nel-2015/febbraio-2016

 

Epidemiologia

2015: mai visti tanti decessi dalla II guerra mondiale. Questa la bomba partita l’11 dicembre scorso dalle pagine del quotidiano Avvenire, dove il demografo Gian Carlo Blangiardo commentava i dati di mortalità appena rilasciati dall’Istat. Una bomba che ha acceso il dibattito destinato a occupare i media nell’ultimo scorcio dell’anno passato. Perché nel 2015 tanti morti? Quali le ragioni? Colpa della crisi economica? Dei tagli alla sanità? Dell’influenza? Dell’inquinamento atmosferico? Del clima? Le ipotesi, talvolta fantasiose e poco poggiate su dati solidi, si sono rincorse per settimane sulla carta, alla radio, sul web. L’invito alla cautela da parte dell’Istat è arrivato un po’ tardi, con un comunicato stampa datato 28 dicembre. Ora, a quasi due mesi di distanza, si può cercare di capire qualcosa di più, grazie anche ad alcuni studi e riflessioni condotti nelle ultime settimane (due dei quali sono pubblicati in avdance da Epidemiologia & Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia).

L’ipotesi Blangiardo

Ma partiamo dall’origine, l’analisi di Gian Carlo Blangiardo. Dai dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2015 il demografo desume un surplus di 39.000 morti in confronto al medesimo periodo del 2014, «un aumento dell’11% che, se confermato su base annua, porterebbe a 664.000 i morti nel 2015, contro i 598.000 dello scorso anno». Un’impennata di 66.000 decessi che Blangiardo assimila a quelli registrati solo durante le due guerre mondiali (in un intervento successivo, pubblicato su Neodemos, le stime vengono riallineate al bilancio demografico Istat che a fine dicembre offre le statistiche relative ai primi otto mesi del 2015, ma cambia poco: il surplus arriva a +68.000 decessi).

Nella ricerca delle possibili cause (resa peraltro ardua dalla tipologia dei dati Istat, che nella prima fase di elaborazione sono aggregati, ossia mancano dei dettagli relativi al genere e alle singole età dei deceduti) Blangiardo esclude un ruolo preminente dell’invecchiamento della popolazione, che darebbe conto solo di una piccola quota, circa 16.000 morti. E gli altri 52.000? Secondo il docente di demografia della Bicocca di Milano queste morti in più sarebbero «un evento straordinario  che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato». E ammonisce: «Il controllo della spesa sanitaria sempre e  a qualunque costo può avere effetti molto pesanti». 

Due notazioni a questo punto: * i 68.000 morti sono stimati basandosi sull’assunto che il tasso di aumento registrato nei primi otto mesi resti costante fino a fine anno (se ne avrà certezza solo quando Istat fornirà il bilancio demografico per tutto il 2015); ** sia per la determinazione dell’eccesso di morti, sia per quanto concerne il peso dell’invecchiamento della popolazione, i confronti sono fatti rispetto al solo anno 2014.

Le prime risposte

Ora, in attesa che il gruppo di lavoro incaricato dal Ministero della salute (di cui fanno parte, oltre allo stesso Ministero della salute, Agenas, ISS e alcuni servizi epidemiologici regionali) produca le proprie analisi, qualche risposta in più alla “epidemia di morti” del 2015 c’è.

Il primo approfondimento viene da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale Lazio e del Ministero della salute che si è occupato di studiare la mortalità nelle 32 città facenti parte del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera (SiSMG), pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione.

In questo lavoro si è scavato un po’ più a fondo rispetto a quanto reso possibile dai dati grezzi dell’Istat, arrivando ad analizzare l’andamento dei decessi, riferiti alla popolazione degli ultra65enni, su base stagionale. I risultati, ottenuti da un confronto con un periodo di riferimento rappresentato dalle medie degli anni 2009-2013 (il 2014 è stato escluso in quanto anomalo), confermano l’elevata mortalità del 2015 (+11% rispetto al riferimento) mettendo in luce un picco nei primi tre mesi dell’anno (+13%) correlabile al clou dell’epidemia influenzale, e uno nel periodo estivo (+10%) associabile alla forte ondata di calore dell’estate 2015. 

I ricercatori non si sono fermati qui. I dati del Sistema informativo della mortalità del Comune di Roma hanno permesso loro di approfondire ulteriormente l’analisi, abbinando ai dati di mortalità stagionali quelli riguardanti il sesso, le classi di età e le cause di morte. Si è così accertato che l’eccesso di mortalità invernale a Roma ha riguardato soprattutto i grandi anziani (ultra85enni), deceduti in gran parte per cause respiratorie e cardiovascolari, compatibili con le complicanze dell’influenza.

Che spiegazioni si possono avanzare a questo punto? «Innanzitutto, va notato che un aumento dei decessi nei mesi invernali era stato già segnalato a livello europeo (Progetto EuroMOMO: Mølbak K, Espenhain L, Nielsen J, et al. Excess mortality among the elderly in European countries, December 2014 to February 2015. Euro Surveill 2015; 20(11)) e attribuito alla particolare virulenza dell’epidemia influenzale della stagione 2014-2015 e, in parte, alla minore efficacia del vaccino» sottolinea Paola Michelozzi, prima firmataria del lavoro. «In Italia la situazione potrebbe essersi ulteriormente complicata in seguito all’allarme suscitato dal “caso Fluad”, che ha comportato un minor accesso alle vaccinazioni da parte dei soggetti più suscettibili, gli anziani. Per quanto concerne la mortalità estiva, è molto probabilmente associata alle ondate di calore di luglio, particolarmente intense e di lunga durata». 

In questa analisi non si può tralasciare un dato importante, e cioè che il 2014 è stato un anno anomalo, caratterizzato da una mortalità inferiore all’atteso (-5,9%). «Soprattutto nell’estate 2014 la mortalità è stata molto bassa: ciò potrebbe avere determinato all’inizio del 2015 la presenza di un bacino più ampio di soggetti suscettibili (per una ridotta capacità di difesa dell’organismo dovuta all’età avanzata e alla presenza di malattie croniche) e, quindi, un maggiore impatto dell’epidemia influenzale 2014-2015. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’aumento dei decessi dell’inverno 2015».

Un ulteriore tassello del puzzle di cause che hanno prodotto l’eccesso di morti del 2015 è fornito da un altro gruppo di studiosi. Cesare Cislaghi, Giuseppe Costa e Alberto Rosano - rispettivamente un economista sanitario, un epidemiologo e un demografo - nell’editoriale di accompagnamento all’articolo di Michelozzi et al. focalizzano l’attenzione su un altro fattore determinante: la composizione della popolazione.  Ecco la loro interpretazione del fenomeno.

L’effetto Prima guerra mondiale

I tre studiosi introducono un’ipotesi a prima vista spiazzante: l’eccesso di mortalità del 2015 sarebbe dovuto in gran parte all’aumento di popolazione anziana per effetto, non solo di una maggiore longevità, ma anche di qualcosa di molto remoto: gli effetti della Prima guerra mondiale (e non nel senso in cui se ne parlava nelle prime analisi apparse sui giornali!).
Ossia: tra il 1917 e i 1920 si è verificato, per motivi facilmente intuibili, un forte calo di natalità che si traduce nella “mancanza” di oltre 250.000 nati in quegli anni. «Il transito di questi soggetti nel periodo da noi considerato ha portato i sopravvissuti che nel 2009 avevano tra gli 89 e i 92 anni ad avere nel 2015 tra i 95 e i 98 anni di età, e ciò fa sì che numericamente gli ultranovantenni del 2015, per lo più facenti parti delle coorti successive al 1920, siano il 40% in più degli ultranovantenni del 2009. E’ allora evidente» spiegano gli epidemiologi «che se c’è un 40% in più di soggetti a rischio di manifestare un evento, cioè il decesso, ci si deve anche aspettare che ci sia un 40% in più di eventi, cioè di decessi».

Se si introduce questa correzione, se cioè insieme alle variazioni dei decessi si considera anche la variazione del numero dei soggetti a maggior rischio di morire (se cioè oltre al numeratore si tiene d’occhio anche il denominatore) il fenomeno viene molto ridimensionato. Cosa peraltro confermata da alcune analisi effettuate partendo da dati di mortalità regionale e decessi ospedalieri, che suggeriscono come la mortalità dell’inverno 2014/2015 sia in linea con la media degli anni precedenti ma superiore al 2014 (anno anomalo, come si è già visto); l’eccesso estivo, per il quale la correzione demografica è meno rilevante, sarebbe invece confermato e attribuibile alle ondate di calore.

Secondo Cislaghi, Costa e Rosano «l’eccesso di mortalità nel 2015 è un incremento in gran parte dovuto all’aumento di popolazione anziana, fenomeno non evitabile, e in parte più modesta a fenomeni in parte prevenibili come l’epidemia influenzale di inizio 2015 e l’ondata di calore del luglio 2015 (anche se nel merito occorono ultreriori approfondimenti)».

Che conclusioni si possono trarre da questa vicenda?

Per prima cosa, indipendentemente dalla diversa quantificazione dell’effetto “incremento di mortalità”, sia i ricercatori romani sia i firmatari dell’editoriale concordano su un punto: i sistemi di vigilanza e monitoraggio del Paese vanno resi più efficienti, se non riprogettati. Tanto per cominciare, bisogna disporre dei dati di mortalità in maniera più celere. Oggi l’Istat fornisce le statistiche nazionali della mortalità per causa con due anni di ritardo, mentre i dati più tempestivi, che sono comunque aggregati e senza informazioni sulle cause, vengono rilasciati con una latenza di molti mesi. Un ritardo che, siccome i dati sui decessi sono il più importante macroindicatore dello stato di salute di una popolazione, si traduce nell’impossibilità di usare queste statistiche per programmare interventi di prevenzione tempestivi. Per esempio per promuovere la vaccinazione antinfluenzale, qualora si confermi un eccesso di morti a causa del virus, o per gestire al meglio le conseguenze delle ondate di freddo o di caldo.

Inoltre, sarebbe una buona cosa mettere in relazione e rendere reciprocamente leggibili e interpretabili i sistemi di rilevazione locali (regionali, comunali) che in genere dispongono di dati più aggiornati, ma che sono inutilizzabili per un confronto tra diverse realtà locali a causa dei diversi metodi rilevazione e codifica utilizzati.

Occorre anche vigilare sulla qualità dei dati e utilizzare i metodi di analisi corretti. «Pensiamo che nei sistemi di vigilanza e di monitoraggio il calcolo degli eventi attesi dovrebbe essere sempre stimato a priori nella misura più accurata possibile in modo che quando poi si conta quanto è successo si possa subito dire se si è in presenza o meno di una situazione di allarme» auspicano Cislaghi, Costa e Rosano.

Infine, anche il richiamo ai possibili effetti della crisi e delle disuguaglianze sociali non dovrebbe essere lasciato cadere nel vuoto, anche questi, infatti, sono possibili  fattori da tenere sotto controllo. Insieme all’inquinamento atmosferico, anch’esso causa di eccessi di morti prevenibili, come dimostra un articolo di Renzi et al. che analizza decessi e ricoveri attribuibili alle polveri sottili a Roma nel dicembre scorso, in pubblicazione sullo stesso numero di Epidemiologia & Prevenzione

4 febbraio, 2016

 

La «green economy» non basta

- Alberto Ziparo, 04.02.2016

Dentro la grande crisi. L’emergenza ambientale è ormai il nodo centrale. Servono azioni profonde

e veloci

In attesa della prossima «catastrofe ambientale», sono addirittura le organizzazioni economiche a

ricordarci la gravità delle crisi ecologiche: il Global Risks Report (Grr) del Wef a Davos, e addirittura

l’Ocse.

Nel primo si spiega come l’emergenza ambientale sia oggi avvertita dalla popolazione mondiale

come il maggior rischio o danno, destinato a crescere per le interazioni e il mutuo alimentarsi con

crisi economiche e guerre; e quindi con ulteriori motivi di consolidamento dei problemi sociali (in

primis migrazioni forzate e rifugiati) e dunque del disagio e del terrorismo. L’Ocse scopre «i limiti

dello sviluppo»:se le tendenze attuali proseguissero con le previsioni di crescita, pure rallentate, di

Cina, India e molte aree emergenti, nel giro di un trentennio avremmo il raddoppio della domanda di

energia, ma anche la crescita esponenziale delle alterazioni inquinanti: con quasi 4 milioni di morti

annui per problemi respiratori o epidemiologici dovuti a gas e polveri sottili, impennate delle

emergenze sanitarie dovute alle ondate di calore, oltre alla perdita delle fasce più vulnerabili del

territorio e irrimediabili cancellazioni di ecosistemi strutturali fondamentali (foreste equatoriali,

molto permafrost polare, ghiacciai di alta montagna, bacini di biodiversità, ecc.), con l’ invivibilità di

molte aree metropolitane. Gli obiettivi formulati a Parigi nello scorso dicembre – al di là della labilità

dei meccanismi attuativi – sarebbero innegabilmente compromessi.

Servirebbero invece strumenti rapidi di realizzazione e addirittura di miglioramento delle misure

previste dal documento finale della conferenza parigina: ma emerge la debolezza dei quadri

istituzionali rispetto a questo obiettivo.

Ciò richiama decisamente le azioni – continue e possibilmente coordinate – di comitati territoriali e

associazioni ambientaliste che, ben oltre la difesa dei patrimoni locali, dovrebbero «costringere» i

quadri decisionali ad andare oltre le declaratorie e ad attuare rapidamente le determinazioni in

questione. E assumere e diffondere la coscienza che la crisi ambientale non è più tanto

un’emergenza, quanto un dato strutturale, che richiede ormai politiche permanenti. Che rimandano

necessariamente a un modello di sviluppo non subalterno, ma in grado di circoscrivere e

ridimensionare, e addirittura normare, l’economia finanziarizzata. Non basta la «green economy»: la

riconversione verde delle produzioni deve essere «landscape oriented» ovvero dettata dalla

necessità di tutelare e valorizzare i contesti territoriali e i «valori verticali» dei luoghi.

La difesa del suolo – emergenza drammatica invocata disperatamente allorché le «città affogano»

sotto la pioggia – richiede non solo un blocco della tendenza al suo consumo, ma la ricostituzione –

ove possibile – degli apparati paesistici : vanno riconfigurati, anche con operazioni di renaturing, i

cicli biogeochimici, in primis quello dell’acqua. E intanto rispetto ai prossimi temporali alluvionali è

importante che si puliscano e si liberino gli alvei fluviali e torrentizi, le vie di fuga dell’acqua.

Serve pianificazione: della città, della mobilità, dell’energia, dell’ambiente, del paesaggio. Anche e

soprattutto per abbattere gli inquinamenti urbani, solidi, liquidi e atmosferici. Considerando che la

smart city (che pure sta registrando una non irrilevante e confortante crescita spontanea) non può

giocarsi solo in termini di innovazione energetica, tecnologica ed economica ma richiama la

ricostituzione di un quadro di sostenibilità e qualità ecologica e tipomorfologica della città che può

essere garantito solo da progetti e politiche mirati.

Vanno ricercate le operazioni «a bassa o nulla impronta ecologica»; da questo punto di vista è utile

esplorare davvero le opportunità offerte dalla citata innovazione: per esempio una nuova linea di

tram può significare semplicemente una corsia riservata e un sistema di colonnine elettriche a

ricarica rapida, come già avviene con il «Blu Tram», mezzo elettrico a batteria che viaggia senza

binari e linee aeree. In generale le infrastrutture vanno realizzate se hanno una domanda effettiva e

nelle forme meno impattanti (per chi conosce Milano e le sue recenti trasformazioni invito a

riflettere sulle enormi differenze di fruizione e di utilità tra Garibaldi/ Piazza Gae Aulenti, e i nuovi

grattaceli del grande capitale atterrato a ingombrare la città, Bosco Verticale compreso): le grandi

arterie e le gallerie ferroviarie e metropolitane realizzate decenni fa durante le fasi della città in

espansione e ancora relativamente dense nel nord Europa, presentavano problemi infinitamente

minori della realizzazione di grandi opere anche sotterranee nell’odierna città consolidata, anche a

ridosso del centro storico; con ecosistemi già alterati che spesso non sopporterebbero ulteriori

manomissioni e cantieri ingombranti (sottoattraversamento di Firenze ).

Ancora il calo del prezzo del petrolio può costituire un pericolo, in quanto ostativo della necessaria

transizione rapida verso le energie rinnovabili: bisognerebbe assumere lo stesso atteggiamento

tenuto negli ultimi anni rispetto al carbone, riproposto ovunque a ogni piè sospinto, dati i prezzi in

picchiata;ma quasi sempre rifiutato dalle popolazioni, fino a finire sostanzialmente fuori gioco in

occidente; ed essere ridimensionato fortemente ovunque. Analogamente nel settore rifiuti va

proseguita la tendenza verso i «rifiuti 0», rifuggendo dalle false opportunità offerte da

pseudoinnovazioni ad alto impatto (termovalorizzatori ecc.).

Nel nostro paese va abrogato o profondamente cambiato lo «Sblocca Italia» che ha in parte

recuperato le grandi quanto infauste opere della defunta Legge Obiettivo. È urgente approvare la

legge sul blocco di consumo di suolo, impantanata in Parlamento. Per la transizione verso

un’economia eco-territorializzata forse serve generalizzare la posizione di qualche anno fa, di un

imprenditore come Renato Soru, allora presidente della Regione Sardegna, all’approvazione del

virtuoso Piano Paesaggistico: «Il paesaggio disegna anche i profili del prossimo sviluppo

economico». Qualunque cosa esuli o risulti incompatibile con le misure che esso detta è da evitare,

anche per la riconversione ecologica delle produzioni.

A Strasburgo un voto contro la nostra salute

- Giuseppe Onufrio, 04.02.2016

Emissioni. Il parlamento europeo consente di alzare di oltre il doppio i limiti previsti per le

emissioni di ossido di azoto per i diesel Euro 6. Vincono le auto, perdono i nostri polmoni

Il voto del Parlamento Europeo che consente di alzare di oltre il doppio i limiti previsti per le

emissioni di ossidi di azoto (NOx) per i diesel Euro 6 (168 mg per km contro gli 80 decisi nel 2007) è

un regalo allindustria dellauto e una conferma che i nostri polmoni non sono una priorità. Già oggi

infatti i morti associabili ai livelli presenti di questinquinante sono oltre 70 mila in Europa. Dal 2020

è previsto un limite più basso (120 mg al km) ma che è sempre il 50% superiore a quello discusso 9

anni fa.

Che le emissioni di NOx dei veicoli diesel fossero ben diverse da quelle dichiarate lo si sapeva bene:

per i diesel Euro 5 le stime su strada delle emissioni reali, per gli inventari delle emissioni inquinanti

redatti dalle Agenzie per lambiente, erano da 4 a 5 volte superiori a quelle dichiarate. Per le

emissioni di CO2 da anni lassociazione Transport&Environment (T&E) pubblica un rapporto per

evidenziare le differenze su strada rispetto alle dichiarazioni formali, quelle che troviamo nelle

pubblicità delle auto.

Il caso Volkswagen ha reso la pantomima visibile a livello globale. Adesso dalla pantomima si passa

alla legalizzazione di un vero e proprio abuso. Nonostante il dieselgate, vincono le auto, perdono i

nostri polmoni. A chi si deve questo brillante risultato? Essenzialmente alla pressione dei governi

europei.

Questa ha portato la «tolleranza» sui test di emissione al 50%, mentre i rapporti tecnici

indicavano nel 20% lampiezza di oscillazione corretta, come ha giustamente notato T&E,

che chiede una revisione al 2017.

Il ruolo delle auto diesel nei mercati europei è cresciuto per una ragione strutturale. In previsione di

una futura minore disponibilità di petrolio, si è iniziato a modificare la raffinazione per produrre

meno benzina e più gasolio, in modo da sfruttare meglio il barile i cui prodotti sono sempre più

legati ai trasporti. Come risultato si produce molto meno olio combustibile (che in Italia nel passato

serviva a coprire oltre la metà della produzione elettrica). Questo «slittamento merceologico» ha

avuto come contraltare un aumento significativo del parco auto diesel che oggi sono più di 15 milioni

in Italia contro i 18 milioni di auto a benzina e i 2 a gpl e metano. In sostanza, i governi proteggono

più che i nostri polmoni l’industria dell’auto e quella petrolifera, i cui prodotti di combustione

trovano come filtri i nostri polmoni. Occorre liberarsi da questa tossicodipendenza e per questo ci

vorrebbero politiche intelligenti della mobilità e una promozione della mobilità elettrica alimentata

da una quota sempre crescente da rinnovabili. Le tecnologie ci sono ma purtroppo l’industria

dell’auto in gran parte fa parte di quei dinosauri fossili che vorrebbero continuare come sempre. E i

governi a promuovere trivelle e fonti fossili, bloccando le alternative.

Il referendum sulle trivelle potrà essere anche occasione di dibattito su che futuro vogliamo. Va

accorpato alle amministrative: il ministro Alfano dice che serve una legge? Il governo la faccia e

risparmi oltre 300 milioni di spesa. In fondo, il conflitto aperto dal governo italiano con l’UE e

Turchia riguardava cifre inferiori.

* Direttore Esecutivo Greenpeace Italia